Monte Echia, il primo cuore di Napoli
| In città
Cavità di epoca classica molto suggestive
Il monte Echia è una propaggine di promontorio a picco sul golfo di Napoli e, dalla fondazione della prima città (Palepolis), è al centro della storia del luogo. Fu sede del primo villaggio abitativo della colonia greca collegato con la spiaggia e il porto da una sola via di accesso, comodo approdo alle foci del fiume Sebeto, protetto dal colle stesso.
Inglobato nel castrum lucullanum (villa di Lucullo che si estendeva fino all’isola di Megaride) in Età Imperiale, ospitò i famosi giardini luculliani, pieni di piante esotiche e rare specie avicole. Dal 474 a.C. l’insediamento precedentemente abbandonato rinasce a nuova vita come satellite della più grande città di Neapolis.
Monte Echia, ma meglio ancora conosciuto come Pizzofalcone o Monte di Dio era conosciuto in epoca greca come “Platamon”, cioè "rupe scavata da grotte". Questo toponimo sopravvive nel nome alla via che corre alla base del monte, via Chiatamone, appunto.
All’interno di monte Echia si aprono, infatti, diverse cavità, abitate fino all’età classica. Abbandonate in epoca tardo romana, vennero prima usate come sede di riti mitriaci, poi di cenobiti nel Medioevo, fino a ospitare riti orgiastici nel XVI secolo.
Il vicerè don Pedro de Toledo, informato di queste ritualità, fu costretto a chiudere indignato le grotte. E fu lo stesso viceré Don Pedro a inglobare per la prima volta all’interno delle mura cittadine il monte Echia. Sul monte Echia sono ancora visibili i resti della Villa di Licinio Lucullo edificata nel I secolo a.C. a Napoli. La villa era mastodontica, si estendeva dall'isolotto di Megaride fino al monte Echia appunto arrivando probabilmente fino al circondario del Maschio Angioino, nei pressi di piazza Municipio. Abbellita da laghetti di pesci e moli che si protendevano sul mare, custodiva una ricchissima biblioteca, e si praticavano allevamenti di murene e di alberi di pesco importati dalla Persia.
La villa divenne così celebre per i suoi banchetti, tanto che ancora oggi esiste un aggettivo in lingua italiana "luculliano", che sta ad indicare un pasto particolarmente abbondante e delizioso.
Inglobato nel castrum lucullanum (villa di Lucullo che si estendeva fino all’isola di Megaride) in Età Imperiale, ospitò i famosi giardini luculliani, pieni di piante esotiche e rare specie avicole. Dal 474 a.C. l’insediamento precedentemente abbandonato rinasce a nuova vita come satellite della più grande città di Neapolis.
Monte Echia, ma meglio ancora conosciuto come Pizzofalcone o Monte di Dio era conosciuto in epoca greca come “Platamon”, cioè "rupe scavata da grotte". Questo toponimo sopravvive nel nome alla via che corre alla base del monte, via Chiatamone, appunto.
All’interno di monte Echia si aprono, infatti, diverse cavità, abitate fino all’età classica. Abbandonate in epoca tardo romana, vennero prima usate come sede di riti mitriaci, poi di cenobiti nel Medioevo, fino a ospitare riti orgiastici nel XVI secolo.
Il vicerè don Pedro de Toledo, informato di queste ritualità, fu costretto a chiudere indignato le grotte. E fu lo stesso viceré Don Pedro a inglobare per la prima volta all’interno delle mura cittadine il monte Echia. Sul monte Echia sono ancora visibili i resti della Villa di Licinio Lucullo edificata nel I secolo a.C. a Napoli. La villa era mastodontica, si estendeva dall'isolotto di Megaride fino al monte Echia appunto arrivando probabilmente fino al circondario del Maschio Angioino, nei pressi di piazza Municipio. Abbellita da laghetti di pesci e moli che si protendevano sul mare, custodiva una ricchissima biblioteca, e si praticavano allevamenti di murene e di alberi di pesco importati dalla Persia.
La villa divenne così celebre per i suoi banchetti, tanto che ancora oggi esiste un aggettivo in lingua italiana "luculliano", che sta ad indicare un pasto particolarmente abbondante e delizioso.
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