Il fantasma di Castel Capuano
La storia di Giuditta la sanguinaria e il prete
Tra le mura di Castel Capuano pare che vaghi lo spirito inquieto di Giuditta Guastamacchia, giovane vedova napoletana, bellissima e altrettanto crudele.
Il padre di Giuditta, non potendo garantirne il sostentamento, decise di farle frequentare il Convento di Sant’Antonio alla Vicaria; la peccaminosa fanciulla iniziò una tresca amorosa con un prete, tale Don Stefano d’Aniello, e per nascondere il loro illecito rapporto, prese in sposo suo nipote.
Era evidente che il loro fosse solo un matrimonio di copertura, che durò finché un giorno Giuditta chiese al padre di aiutarla a mettere fine alla vita del marito, facendogli credere che il giovane, l’avesse derubata e violentata.
Il povero nipote del prete, venne riportato a Napoli con l’inganno e alcuni spasimanti di Giuditta lo strangolarono. Uno dei complici, che di professione era chirurgo, provvide a sbarazzarsi del cadavere, facendolo a pezzi e disperse il corpo macellato nel bosco e nel mare. Tuttavia il malfattore fu fermato dalla guardia reale, che trovò in tempo il macabro bottino. Egli confessò il crimine svelando i nomi dei suoi complici; fu così che Giuditta, il padre e il prete furono fermati sulla strada per Capodichino, mentre tentavano la fuga.
Tutti furono condannati alla forca (tranne il prete) e dopo l’impiccagione, la testa e le mani della donna furono amputate e messe in mostra sulle mura della Vicaria dietro le grate di ferro, in linea con quanto previsto dalla legge.
I teschi di Giuditta Guastamacchia, del padre e dei complici sono stati oggetto di analisi per effettuare studi approfonditi di fisiognomica criminale e attualmente sono conservati nel museo anatomico di Napoli. Si racconta che talvolta, specialmente nel giorno della sua morte, lo spirito di Giuditta torni a manifestarsi, causando eventi infausti nei pressi di Castel Capuano.
Il padre di Giuditta, non potendo garantirne il sostentamento, decise di farle frequentare il Convento di Sant’Antonio alla Vicaria; la peccaminosa fanciulla iniziò una tresca amorosa con un prete, tale Don Stefano d’Aniello, e per nascondere il loro illecito rapporto, prese in sposo suo nipote.
Era evidente che il loro fosse solo un matrimonio di copertura, che durò finché un giorno Giuditta chiese al padre di aiutarla a mettere fine alla vita del marito, facendogli credere che il giovane, l’avesse derubata e violentata.
Il povero nipote del prete, venne riportato a Napoli con l’inganno e alcuni spasimanti di Giuditta lo strangolarono. Uno dei complici, che di professione era chirurgo, provvide a sbarazzarsi del cadavere, facendolo a pezzi e disperse il corpo macellato nel bosco e nel mare. Tuttavia il malfattore fu fermato dalla guardia reale, che trovò in tempo il macabro bottino. Egli confessò il crimine svelando i nomi dei suoi complici; fu così che Giuditta, il padre e il prete furono fermati sulla strada per Capodichino, mentre tentavano la fuga.
Tutti furono condannati alla forca (tranne il prete) e dopo l’impiccagione, la testa e le mani della donna furono amputate e messe in mostra sulle mura della Vicaria dietro le grate di ferro, in linea con quanto previsto dalla legge.
I teschi di Giuditta Guastamacchia, del padre e dei complici sono stati oggetto di analisi per effettuare studi approfonditi di fisiognomica criminale e attualmente sono conservati nel museo anatomico di Napoli. Si racconta che talvolta, specialmente nel giorno della sua morte, lo spirito di Giuditta torni a manifestarsi, causando eventi infausti nei pressi di Castel Capuano.