Castel Capuano e la storia della colonna infame
Una colonna bianca di marmo legata ad un triste racconto
Conoscete Castel Capuano? Pochi sanno che Napoli è una delle poche città della vecchia europa ad annoverare tra le sue mura ben 5 castelli, costruiti in epoche diverse, da diversi governanti per scopi diversi. Tra questi, in pieno centro storico, appunto, spicca Castel Capuano, detto anche Palazzo della Vicaria, perché nel 1540 la Gran Corte della Vicaria vi si trasferì.
E così, grazie anche al contemporaneo trasferimento del Sacro Regio Collegio, della Zecca e la Bagliva, Castel Capuano divenne tristemente noto per le carceri e i metodi sommari che vi si praticavano.
Castel Capuano, infatti, oltre alle carceri ordinarie, comprendeva anche le celle dove sostavano i condannati a morte. Don Pedro de Toledo, vicerè di Napoli, tra i personaggi più illustri della storia della città, volle concentrare in una sola sede tutti i rami della magistratura che, fino a quel momento, erano stati separati e sparsi per tutta la città.
Il castello era dunque la sede di torture orribili ed esecuzioni capitali. Queste avvenivano nella parte settentrionale del tetro edificio. Una triste usanza, invece, imponeva di esporre le teste e gli arti mozzati mentre teste e varie parti del corpo dei condannati venivano esposte come monito macabro al popolo.
Di fronte a via Carbonara, davanti alla porta principale del Castello, invece, si trovava una colonna bianca di marmo che divenne tristemente conosciuta “colonna infame della vicaria”. Sarebbe meglio raccontarla oggi come colonna dell’infamia. Questo perché, quando un uomo non era in grado di pagare i debiti contratti, veniva fatto salire su questa colonna e costretto a mostrare il deretano alla folla dicendo: “Cedo bonis”, che, traslato, sarebbe a dire: “guardate come sono ridotto”.
Sempre don Pedro de Toledo pose un lieve rimedio alla sconcezza di questa usanza, sostituendola con la semplice esposizione del capo scoperto dinanzi ai creditori. Si dovette aspettare re Carlo III di Borbone per l’abbattimento della colonna. Ciononostante questo non bastò a ridurre l’atrocità del popolo sempre alla ricerca del macabro. La base della colonna rimasta, venne per alcuni decenni ancora usata come ceppo mortuario per mostrare i corpi dei condannati.
E così, grazie anche al contemporaneo trasferimento del Sacro Regio Collegio, della Zecca e la Bagliva, Castel Capuano divenne tristemente noto per le carceri e i metodi sommari che vi si praticavano.
Castel Capuano, infatti, oltre alle carceri ordinarie, comprendeva anche le celle dove sostavano i condannati a morte. Don Pedro de Toledo, vicerè di Napoli, tra i personaggi più illustri della storia della città, volle concentrare in una sola sede tutti i rami della magistratura che, fino a quel momento, erano stati separati e sparsi per tutta la città.
Il castello era dunque la sede di torture orribili ed esecuzioni capitali. Queste avvenivano nella parte settentrionale del tetro edificio. Una triste usanza, invece, imponeva di esporre le teste e gli arti mozzati mentre teste e varie parti del corpo dei condannati venivano esposte come monito macabro al popolo.
Di fronte a via Carbonara, davanti alla porta principale del Castello, invece, si trovava una colonna bianca di marmo che divenne tristemente conosciuta “colonna infame della vicaria”. Sarebbe meglio raccontarla oggi come colonna dell’infamia. Questo perché, quando un uomo non era in grado di pagare i debiti contratti, veniva fatto salire su questa colonna e costretto a mostrare il deretano alla folla dicendo: “Cedo bonis”, che, traslato, sarebbe a dire: “guardate come sono ridotto”.
Sempre don Pedro de Toledo pose un lieve rimedio alla sconcezza di questa usanza, sostituendola con la semplice esposizione del capo scoperto dinanzi ai creditori. Si dovette aspettare re Carlo III di Borbone per l’abbattimento della colonna. Ciononostante questo non bastò a ridurre l’atrocità del popolo sempre alla ricerca del macabro. La base della colonna rimasta, venne per alcuni decenni ancora usata come ceppo mortuario per mostrare i corpi dei condannati.