Il Maschio Angioino e la leggenda del coccodrillo
Il Maschio Angioino nasconde un coccodrillo nei sotterranei?
Così sembrerebbe dai ritrovamenti di uno scheletro avvenuti nel 2004. Durante gli scavi della metropolitana di piazza Municipio, sono emersi i resti di un animale, che somiglierebbe molto alla sagoma di un coccodrillo. Semplici supposizioni, che lasciano il mistero ancora irrisolto! Infatti, per i più scettici, potrebbe trattarsi dello scheletro di un cetaceo.
I sotterranei del Maschio Angioino sono costituiti da due zone, situate nello spazio sottostante la Cappella Palatina: la fossa del miglio e la prigione dei Baroni. La fossa, usata come deposito del grano, fu poi battezzata “Fossa del coccodrillo” ed usata per condannare i prigionieri condannati a morte.
Ma il nome tanto suggestivo da dove nasce esattamente?
Secondo una leggenda narrata in “Storie e leggende napoletane” dal filosofo Benedetto Croce, nei sotterranei del Maschio Angioino c'era davvero un coccodrillo, fatto trasportare dall’Egitto, con una nave, dalla regina Giovanna II, moglie di Giacomo di Borbone.
La donna, dai facili costumi, soleva infatti dare in pasto all’animale i propri amanti, così da celare ogni scandalo. Il coccodrillo penetrava da un'apertura in comunicazione col sotterraneo e trascinava in mare le vittime, afferrandoli per una gamba per poi divorarli.
In un’altra versione del mito Ferrante D’Aragona, re di Napoli dal 1458 al 1494, si servì del rettile per eliminare i partecipanti alla congiura dei Baroni del 1486. Dopo essere stati invitati con l’inganno ad un banchetto, nella Sala dei Baroni, i congiurati furono uccisi e poi dati in pasto all’animale. In seguito, per liberarsi del coccodrillo lo stesso Ferrante utilizzò come esca una grande coscia di cavallo avvelenata. Una volta morto, lo fece impagliare ed agganciare sulla porta d'ingresso del Maschio Angioino.
Alexandre Dumas nella “Storia dei Borbone di Napoli” scrisse: “Da questa bocca dell’abisso, dice la lugubre leggenda, uscendo dal vasto mare, appariva un tempo, l’immondo rettile, che ha dato il suo nome a quella fossa”. Nei sotterranei del Maschio Angioino fu imprigionato anche Tommaso Campanella, che evitò il coccodrillo, ma non scampò alle torture dei carnefici che lo perseguitarono anche nelle segrete di Castel Sant’Elmo.
I sotterranei del Maschio Angioino sono costituiti da due zone, situate nello spazio sottostante la Cappella Palatina: la fossa del miglio e la prigione dei Baroni. La fossa, usata come deposito del grano, fu poi battezzata “Fossa del coccodrillo” ed usata per condannare i prigionieri condannati a morte.
Ma il nome tanto suggestivo da dove nasce esattamente?
Secondo una leggenda narrata in “Storie e leggende napoletane” dal filosofo Benedetto Croce, nei sotterranei del Maschio Angioino c'era davvero un coccodrillo, fatto trasportare dall’Egitto, con una nave, dalla regina Giovanna II, moglie di Giacomo di Borbone.
La donna, dai facili costumi, soleva infatti dare in pasto all’animale i propri amanti, così da celare ogni scandalo. Il coccodrillo penetrava da un'apertura in comunicazione col sotterraneo e trascinava in mare le vittime, afferrandoli per una gamba per poi divorarli.
In un’altra versione del mito Ferrante D’Aragona, re di Napoli dal 1458 al 1494, si servì del rettile per eliminare i partecipanti alla congiura dei Baroni del 1486. Dopo essere stati invitati con l’inganno ad un banchetto, nella Sala dei Baroni, i congiurati furono uccisi e poi dati in pasto all’animale. In seguito, per liberarsi del coccodrillo lo stesso Ferrante utilizzò come esca una grande coscia di cavallo avvelenata. Una volta morto, lo fece impagliare ed agganciare sulla porta d'ingresso del Maschio Angioino.
Alexandre Dumas nella “Storia dei Borbone di Napoli” scrisse: “Da questa bocca dell’abisso, dice la lugubre leggenda, uscendo dal vasto mare, appariva un tempo, l’immondo rettile, che ha dato il suo nome a quella fossa”. Nei sotterranei del Maschio Angioino fu imprigionato anche Tommaso Campanella, che evitò il coccodrillo, ma non scampò alle torture dei carnefici che lo perseguitarono anche nelle segrete di Castel Sant’Elmo.