Giacomo Leopardi, il soggiorno partenopeo
La vita del poeta recanatese a Napoli, tra vizi e superstizioni
Nel 1833 Giacomo Leopardi, accompagnato da Antonio Ranieri, giunse a Napoli, dove venne accolto dai parenti dell’amico, che abitavano nelle vicinanze di Piazza S. Ferdinando. La città piacque molto al poeta, perché gli trasmetteva ottimismo e speranze di crescita professionale.
Nei primi tempi del soggiorno nel capoluogo partenopeo, ciò che colpì il recanatese non fu solo l'aspetto folklorico della città, ma più semplicemente la gioia di vivere del popolo napoletano. Leopardi è un solitario e un malinconico, ma amava fondersi con la folla, soprattutto durante le sue passeggiate preferite lungo via Toledo e Santa Lucia. Il poeta non passava di certo inosservato, per il suo abbigliamento caratterizzato da un vecchio soprabito turchino, che gli donava l’aspetto di un mendicante, senza contare le calze logore e rattoppate; egli aveva sempre la testa affondata tra le spalle alte, gli occhi arrossati e semichiusi...insomma non era un uomo elegante e distinto.
Proprio per questo motivo non era ben visto dagli intellettuali partenopei, che lo soprannominano "o' ranavuottolo" e lo deridevano, ogni volta che lo vedevano rannicchiato dietro un tavolino d'angolo del caffè delle "Due Sicilie" in Via Toledo; lì Leopardi gustava dolci e sorseggiava caffè zuccheratissimi, oppure faceva scorpacciate di cozze e cannolicchi, non giovando alla sua cagionevole salute.
Invece, il recanatese era ben voluto solo dal popolino partenopeo, a cui talvolta suggeriva un probabile numero vincente per giocarlo al lotto, anche perché sfregare la sua gobba si riteneva portasse fortuna. Dopo qualche anno, Leopardi decise di trasferirsi sempre con Ranieri in un appartamento al Vomero, dove poteva respirare aria salubre, oltre che dominare ed ammirare un vasto panorama, da Posillipo fino al Vesuvio.
Tuttavia, Leopardi non amava la vita di campagna, ciò in virtù del fatto che a quel tempo la collina del Vomero si presentava come una periferia rurale marginale rispetto al centro città. Fortunatamente il cognato di Ranieri offrì ai due amici la sua casa di campagna a Torre del Greco, proprio alle pendici del Vesuvio; ma neanche lì Leopardi trovò il giovamento sperato e appena arrivò il periodo estivo si trasferì a Capodimonte in una casa più piccola, soprattutto per risparmiare sull'affitto.
Il poeta evitò il contagio da colera che si stava diffondendo in molte città d’Italia, ma si ammalò gravemente per via della sua salute precaria, legata anche a problemi di cataratta e asma, e fu costretto a trascorrere l’inverno chiuso nella sua piccola dimora. Il suo stato di salute peggiorò fino alla sua finale dipartita e le spoglie sono state raccolte e custodite a Mergellina.
A Napoli, c’è anche un fondo manoscritto unico, che racchiude oltre il 90 % dell'intero corpus di carte leopardiane, un tesoro di inestimabile valore. Inoltre, ci sono anche una via ed una piazza dedicate a Giacomo Leopardi, nel quartiere Fuorigrotta.
Nei primi tempi del soggiorno nel capoluogo partenopeo, ciò che colpì il recanatese non fu solo l'aspetto folklorico della città, ma più semplicemente la gioia di vivere del popolo napoletano. Leopardi è un solitario e un malinconico, ma amava fondersi con la folla, soprattutto durante le sue passeggiate preferite lungo via Toledo e Santa Lucia. Il poeta non passava di certo inosservato, per il suo abbigliamento caratterizzato da un vecchio soprabito turchino, che gli donava l’aspetto di un mendicante, senza contare le calze logore e rattoppate; egli aveva sempre la testa affondata tra le spalle alte, gli occhi arrossati e semichiusi...insomma non era un uomo elegante e distinto.
Proprio per questo motivo non era ben visto dagli intellettuali partenopei, che lo soprannominano "o' ranavuottolo" e lo deridevano, ogni volta che lo vedevano rannicchiato dietro un tavolino d'angolo del caffè delle "Due Sicilie" in Via Toledo; lì Leopardi gustava dolci e sorseggiava caffè zuccheratissimi, oppure faceva scorpacciate di cozze e cannolicchi, non giovando alla sua cagionevole salute.
Invece, il recanatese era ben voluto solo dal popolino partenopeo, a cui talvolta suggeriva un probabile numero vincente per giocarlo al lotto, anche perché sfregare la sua gobba si riteneva portasse fortuna. Dopo qualche anno, Leopardi decise di trasferirsi sempre con Ranieri in un appartamento al Vomero, dove poteva respirare aria salubre, oltre che dominare ed ammirare un vasto panorama, da Posillipo fino al Vesuvio.
Tuttavia, Leopardi non amava la vita di campagna, ciò in virtù del fatto che a quel tempo la collina del Vomero si presentava come una periferia rurale marginale rispetto al centro città. Fortunatamente il cognato di Ranieri offrì ai due amici la sua casa di campagna a Torre del Greco, proprio alle pendici del Vesuvio; ma neanche lì Leopardi trovò il giovamento sperato e appena arrivò il periodo estivo si trasferì a Capodimonte in una casa più piccola, soprattutto per risparmiare sull'affitto.
Il poeta evitò il contagio da colera che si stava diffondendo in molte città d’Italia, ma si ammalò gravemente per via della sua salute precaria, legata anche a problemi di cataratta e asma, e fu costretto a trascorrere l’inverno chiuso nella sua piccola dimora. Il suo stato di salute peggiorò fino alla sua finale dipartita e le spoglie sono state raccolte e custodite a Mergellina.
A Napoli, c’è anche un fondo manoscritto unico, che racchiude oltre il 90 % dell'intero corpus di carte leopardiane, un tesoro di inestimabile valore. Inoltre, ci sono anche una via ed una piazza dedicate a Giacomo Leopardi, nel quartiere Fuorigrotta.