Musica made in Naples
Da Murolo a Raiz passando per James Senese e Pino Daniele
Chi vuole conoscere la vera Napoli deve conoscerne la musica. Napoli e la musica, in effetti, risultano da sempre, nell’immaginario comune, un connubio indissolubile. Ad ogni napoletano sarà capitato almeno una volta nella vita di trovarsi di fronte al turista o al settentrionale insistente che vuole fargli accennare almeno qualche nota di “‘O Sole mio”, come se fosse un battesimo che accerta il fatto che napoletano lo è veramente. Ma al di là del cliché del napoletano che “adda cantà”, la musica napoletana ha una storia e una tradizione che fanno da fondamenta a tutta la musica italiana. Se n’è accorto anche Turturro che nel 2010 ha girato il docu-film musicale “Passione” in cui la musica napoletana è la protagonista indiscussa. È stato impossibile per Turturro e lo sarà anche per noi citare tutti gli artisti e gli stili musicali che si sono susseguiti nei decenni. Si rischia sempre di dimenticare qualcosa. E scordarsene è quasi un delitto.
Di Giacomo, E.A. Mario, Murolo, Libero Bovio. E ancora Carosone, Sergio Bruni, Aurelio Fierro sono tra i padri fondatori della musica che ascoltiamo oggi e simboli della musica italiana nel mondo. L’enorme bagaglio musicale della canzone classica napoletana raccoglie brani a partire dai primi dell’Ottocento e viene riproposta e ripercorsa ancora oggi da stili e voci differenti senza mai risultare desueta o poco interessante. I suoni del mandolino, della chitarra e del calascione non si limitano ad un susseguirsi armonioso di note, ma riproducono le voci dei vicoli, l’infrangersi delle onde sugli scogli, l’ “arràggia”, che per i non napoletanofoni andrebbe tradotta come “rabbia” escludendo così tutto quanto di positivo, combattivo e coraggioso c’è nella parola e nell’animo napoletano.
Si, perché questa musica è fatta di sangue e sudore, di puzza di pesce e di “ammore” con due “m”, perché le cose importanti a Napoli si rinforzano, di pianti e “allucchi”. Come quelli della sceneggiata napoletana il cui re, tutti lo sanno, è Mario Merola e della sua degenerazione moderna, il neomelodico, genere musicale da sempre affibbiato al popolino. Ma l’evoluzione moderna della musica napoletana ha esempi pregiatissimi. Basti pensare allo stato di grazia vissuto tra gli anni settanta e ottanta dall'indimenticabile Pino Daniele (molto vicino a Massimo Troisi) che con a brani come “Napul è”, “Quando”, Yes I know my way (ma per dirne proprio un paio) ha consegnato inni di quella generazione. O ai fratelli Bennato, più orientato verso la musica italiana Edoardo, più verso la riscoperta del folk Eugenio; genere quest’ultimo per il quale non si può non citare la Nuova Compagnia di Canto Popolare che intraprende un’operazione filologica ed etno-musicale, riproponendo la musica popolare del territorio campano nella sua espressione tradizionale e originaria.
E ancora i il compianto Mario Musella e le sue ascendenze soul, nelle quali si espresse il giovane talento di James Senese, poi confluito in Napoli Centrale, portando contaminazioni jazz-rock, che sono anche fusioni geografiche e linguistiche di un mondo in divenire che si impasta e si combina con etnie calde ed orientali, creando nuovi sapori mediterranei. In questo panorama si collocano anche le figure di cantautori e musicisti come Eduardo De Crescenzo, Tony Esposito, Tullio De Piscopo, Enzo Avitabile, Rino Zurzolo. Tutte queste nuove proposte musicali s'imposero lungo i difficili anni '70 e '80 con l'etichetta di Neapolitan Power, a sottolineare l'effervescenza della scena musicale e culturale partenopea di quel periodo.
Stessa natura magica e impura quella della Piccola Orchestra Avion Travel, che combina il jazz al teatro-canzone, al cinema (la storia biografica del chitarrista del gruppo, Fausto Mesolella, è romanticamente raccontata nel film “Lascia perdere Johnny”, di Fabrizio Bentivoglio, 2007), alla citazione musicale colta, a raffinatezze testuali e musicali.
Negli ultimi anni la musica napoletana vive piani di contaminazione ancora più profondi ed entusiasmanti, che sanno raccontare le contraddizioni del popolo napoletano, capace come nessun altro di evolversi ed involversi contemporaneamente. Questi gruppi ed artisti non si occupano solo di musica, ma anche di impegno sociale e politico, di chiaro taglio antifascista, esprimendosi nelle cosiddette “posse”, da cui gruppi come i 99 Posse (orientati su rap) ma anche i 24 grana (genere grunge), Raìz e gli Almamegretta, su chiare frequenze dub con qualche punta di sapore reggae, all’interno dei quali risuonano riff di derivazione rock, senza mai abbandonare la propria individualità napoletana che viene fuori potente attraverso l’uso del dialetto creando, a volte, effetti stranianti ma mai deboli o inadatti.
Di Giacomo, E.A. Mario, Murolo, Libero Bovio. E ancora Carosone, Sergio Bruni, Aurelio Fierro sono tra i padri fondatori della musica che ascoltiamo oggi e simboli della musica italiana nel mondo. L’enorme bagaglio musicale della canzone classica napoletana raccoglie brani a partire dai primi dell’Ottocento e viene riproposta e ripercorsa ancora oggi da stili e voci differenti senza mai risultare desueta o poco interessante. I suoni del mandolino, della chitarra e del calascione non si limitano ad un susseguirsi armonioso di note, ma riproducono le voci dei vicoli, l’infrangersi delle onde sugli scogli, l’ “arràggia”, che per i non napoletanofoni andrebbe tradotta come “rabbia” escludendo così tutto quanto di positivo, combattivo e coraggioso c’è nella parola e nell’animo napoletano.
Si, perché questa musica è fatta di sangue e sudore, di puzza di pesce e di “ammore” con due “m”, perché le cose importanti a Napoli si rinforzano, di pianti e “allucchi”. Come quelli della sceneggiata napoletana il cui re, tutti lo sanno, è Mario Merola e della sua degenerazione moderna, il neomelodico, genere musicale da sempre affibbiato al popolino. Ma l’evoluzione moderna della musica napoletana ha esempi pregiatissimi. Basti pensare allo stato di grazia vissuto tra gli anni settanta e ottanta dall'indimenticabile Pino Daniele (molto vicino a Massimo Troisi) che con a brani come “Napul è”, “Quando”, Yes I know my way (ma per dirne proprio un paio) ha consegnato inni di quella generazione. O ai fratelli Bennato, più orientato verso la musica italiana Edoardo, più verso la riscoperta del folk Eugenio; genere quest’ultimo per il quale non si può non citare la Nuova Compagnia di Canto Popolare che intraprende un’operazione filologica ed etno-musicale, riproponendo la musica popolare del territorio campano nella sua espressione tradizionale e originaria.
E ancora i il compianto Mario Musella e le sue ascendenze soul, nelle quali si espresse il giovane talento di James Senese, poi confluito in Napoli Centrale, portando contaminazioni jazz-rock, che sono anche fusioni geografiche e linguistiche di un mondo in divenire che si impasta e si combina con etnie calde ed orientali, creando nuovi sapori mediterranei. In questo panorama si collocano anche le figure di cantautori e musicisti come Eduardo De Crescenzo, Tony Esposito, Tullio De Piscopo, Enzo Avitabile, Rino Zurzolo. Tutte queste nuove proposte musicali s'imposero lungo i difficili anni '70 e '80 con l'etichetta di Neapolitan Power, a sottolineare l'effervescenza della scena musicale e culturale partenopea di quel periodo.
Stessa natura magica e impura quella della Piccola Orchestra Avion Travel, che combina il jazz al teatro-canzone, al cinema (la storia biografica del chitarrista del gruppo, Fausto Mesolella, è romanticamente raccontata nel film “Lascia perdere Johnny”, di Fabrizio Bentivoglio, 2007), alla citazione musicale colta, a raffinatezze testuali e musicali.
Negli ultimi anni la musica napoletana vive piani di contaminazione ancora più profondi ed entusiasmanti, che sanno raccontare le contraddizioni del popolo napoletano, capace come nessun altro di evolversi ed involversi contemporaneamente. Questi gruppi ed artisti non si occupano solo di musica, ma anche di impegno sociale e politico, di chiaro taglio antifascista, esprimendosi nelle cosiddette “posse”, da cui gruppi come i 99 Posse (orientati su rap) ma anche i 24 grana (genere grunge), Raìz e gli Almamegretta, su chiare frequenze dub con qualche punta di sapore reggae, all’interno dei quali risuonano riff di derivazione rock, senza mai abbandonare la propria individualità napoletana che viene fuori potente attraverso l’uso del dialetto creando, a volte, effetti stranianti ma mai deboli o inadatti.