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Tattoo Napoli: dal tribale al Carpe Diem


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Tattoo Napoli: il disegno fa posto alla frase
La moda del tattoo a Napoli spopola da tempo su braccia e dorsi di giovani e non. Il fenomeno investe tutte le categorie sociali, con significati e funzioni diverse a seconda del contesto.
Non siamo più vecchi lupi di mare. Se vuoi tatuarti oggi, dimentica sirene, ancore, rose, soli. Il tattoo oggi non esprime più quel che vorresti essere ma quel che sei. Scava dentro di te (o sul tuo profilo facebook) e trova la frase che ti descrive meglio di tutte.

Il tattoo a Napoli



Il corpo è un diario. Dove scrivere, lamentarsi, disperarsi, eccitarsi, compiacersi, apprezzarsi. Chi si tatua vuole esprimere qualcosa di sè, in modo definitivo (anche se cresce la moda del tatuaggio temporaneo e cancellabile) e lo fa scrivendo sul proprio corpo. O, per meglio dire, disegnando. Almeno fino a qualche tempo fa. Se negli anni 90 il disegno più ricorrente nel tattoo è stato il motivo tribale, c'è stata poi l'epoca "asiatica": erano tantissimi quelli a farsi tatuare scritte in ideogrammi cinesi o in giapponese sull'interno del braccio o dietro alla schiena, per poi passare a donne, geishe e samurai sulla schiena. E gli anni 2000 ci portano dritti dritti verso l'ultima tendenza: illuminanti frasi che abbagliano chi le legge e che nascondono frammenti della nostra personalità. E vanno fortissimo le citazioni, dotte o meno, i grandi aforismi letterari, proverbi, motti e detti in latino, magari scritti con carattere Gothic. Tanto per enfatizzare l'atmosfera drammatica che alberga nel profondo del nostro cuore. Le frasi più ricorrenti (a volte sono interi paragrafi): "Born Lucky", "Carpe Diem", "What doesn't kill me only makes me stronger", "Alea iacta est", "Per aspera ad astra". Tutte affermazioni statuarie, che sembrano dire: "io sono così, ti ho avvertito" - come il sottotitolo a questa specie di film di se stessi. Affermazioni statuarie: come quelle che fanno parlare i nostri profili sui più diffusi social networks, da facebook a twitter e instagram. E' almeno dall'epoca di MSN Messenger che siamo abituati a reclamizzare i nostri stati d'animo presso gli amici connessi a internet, grazie a frasi che lanciamo nel web, per raccontare cosa proviamo o cosa ci accade e il cui abuso porta a quei gravissimi casi di social-protagonismo che talvolta tocca livelli imbarazzanti tra youtubers. Che la tendenza al tattoo "descrittivo" provenga da quest' ultima abitudine, particolarmente stimolata dai social networks?

Camorra e tattoo



Famiglia che cambi, tattoo che trovi. A Scampia, la guerra tra clan si è combattuta anche a suon di tatuaggi. Come nelle grandi tradizioni criminali, dalla Yakuza ai cartelli messicani, il tattoo da queste parti è simbolo d'affiliazione: avercelo o no non è più questione di gusto, ma di sopravvivenza. A Scampia, dicevamo, se ti facevi tatuare un AK-47 kalashnikov (il fucile automatico più usato da clan napoletani, narcos e terroristi) stavi con gli "scissionisti", la fazione che diede avvio alla guerra su cui si basa "Gomorra - La serie", se invece portavi una pistola P38 (sul braccio o sul fianco) eri del clan rivale, i Di Lauro. Quelli del clan Misso girano con un mastino e la scritta "Mastiffs" oppure una Madonnina tatuati da qualche parte sul corpo.

Il tattoo è uno status symbol che attraversa tutte le categorie sociali, tutte le persone. Non è più e non lo è a tempo il marchio di uno specifico gruppo o dimensione culturale. Anzi, da quando le scritte e gli aforismi hanno preso il sopravvento su geishe e tribali, il tattoo è l'ultima frontiera di sé stessi, un modo (e un mondo) per raccontare se stessi, chiunque siamo, ovunque siamo.